Le indagini investigative difensive sono espressione pratica del diritto costituzionale di ogni cittadino di difendersi contrastando le accuse che gli sono mosse nonché elemento indefettibile di quel “giusto processo” che il Legislatore ha formalizzato con la novella legislativa del 2001 (Legge n. 63/2001).
Da sottolineare che il diritto della parte di difendersi provando è riconosciuto dal Legislatore in modo assolutamente ampio in tutte le fasi del procedimento penale (anche a seguito di una sentenza definitiva per la presentazione della richiesta di revisione e prima che si instauri il procedimento penale in una forma preventiva di indagine del difensore per il combinato disposto degli artt. 327-bis e 391-nonies c.p.p.) e non solo all’indagato/imputato ma anche alla persona offesa costituita o meno parte civile (oltre che alle altre eventuali parti private).
Il codice di procedura penale disciplina le attività di indagine difensiva nel titolo VI^ bis denominato “investigazioni del difensore” dall’art. 391 bis all’art. 391 decies.
Le attività che il codice di procedura penale disciplina sono:
- Il colloquio documentato o meno del difensore (o i suoi sostituti appositamente incaricati) con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa;
- La richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione;
- L’accesso ai luoghi aperti al pubblico, privati o non aperti al pubblico (oggetto specifico della presente trattazione).
Il nuovo art. 327-bis riconosce al difensore la facoltà di svolgere investigazioni per ricercare elementi di prova a favore del proprio assistito – nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo V bis del libro V del codice di procedura penale – fin dal conferimento dell’incarico professionale, che deve risultare da un atto scritto. La norma, in altre parole, specifica che condicio sine qua non, perché l’attività di ricerca della prova possa dirsi «processualmente protetta», è l’assunzione formale della qualità di difensore nelle forme previste dall’art. 96 comma 2 c.p.p. Non occorre, però, un esplicito mandato ad espletare le investigazioni difensive, fatta eccezione per quelle preventive e fermo restando la possibilità per l’assistito di vietarne il compimento in quanto il difensore non può agire in contrasto con la volontà del primo anche se nel suo stesso interesse.
Il campo delle indagini espletabili dal difensore è sicuramente più ampio rispetto a quello relativamente esiguo oggetto di una specifica disciplina del codice di procedura.
Sono diversi gli atti di indagine del difensore non espressamente previsti dal Legislatore ma assolutamente idonei a reperire elementi utili alla parte:
- La consultazione di fonti aperte accessibili dal web;
- La documentazione fotografica di luoghi, tragitti, distanze, tempi di percorrenza facilmente realizzabile con google maps;
- La consultazione di albi, elenchi, banche dati;
- L’esecuzione di esperimenti giudiziali (non irripetibili) che verranno documentati dal difensore e forniti al Giudice (si pensi alla visuale che un soggetto può avere stando in un determinato luogo o al tragitto che si assume essere stato coperto da un soggetto in una data situazione ed altro ancora);
- Le operazioni tecniche eseguibile con la collaborazione di un consulente per la documentazione dello stato di luoghi, persone e cose;
- La richiesta di tabulati telefonici (di utenze intestate al proprio assistito) con l’indicazione delle chiamate in entrata ed in uscita e le celle agganciate ed altro ancora.
La facoltà di espletare le investigazioni difensive, che non devono comunque intralciare quelle dell’accusa, è attribuita non solo al difensore dell’indagato/imputato, ma anche a quello delle altre parti private. Quindi, legittimato è, sicuramente, il difensore della persona offesa.
Per la parte civile, il responsabile civile e il civilmente obbligato, l’attività di investigare va desunta dai loro tempi di intervento nel processo. Pertanto, venendo in gioco solo dopo la chiusura delle indagini preliminari, gli stessi non potranno svolgere indagini durante la fase del procedimento e, quindi, non sono legittimati al compimento delle indagini preventive.
L’art. 327-bis comma 3 c.p.p. consente al difensore di avvalersi di ausiliari, sostituti, investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, di consulenti tecnici. Proprio perché questi ultimi agiscono su delega del difensore, il quale è responsabile del loro operato, è necessario un incarico scritto, che specifichi l’oggetto dell’indagine.
Proprio in merito alle investigazioni preventive, l’art. 327-bis comma 2 precisa che la facoltà di svolgere le indagini è attribuita al difensore «in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione». L’attività investigativa può essere compiuta, quindi, non solo durante le indagini preliminari, ma anche nelle fasi successive, quali il giudizio di primo grado e di appello, la fase esecutiva e post esecutiva per pervenire ad una revisione del giudicato.
Tale disposizione va, poi, correlata all’art. 391-nonies c.p.p., il quale consente al difensore, munito di apposito mandato, di svolgere indagini per l’eventualità che si instauri un procedimento penale, con esclusione di quegli atti richiedenti l’intervento o l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Proprio perché l’art. 391-nonies comma 1 richiama l’art. 327-bis è da ritenere l’investigazione preventiva strutturalmente collegata a quella di cui all’art. 327-bis comma 1, consentita per l’eventualità che si instauri un procedimento penale.
La finalità dell’indagine preventiva è la ricerca degli elementi favorevoli al proprio assistito nel rispetto della legge e delle regole deontologiche, ma non può tradursi nella manipolazione o sottrazione delle prove per le eventuali future indagini del pubblico ministero.
I risultati degli atti di investigazione preventiva, documentati secondo i crismi previsti per l’attività investigativa endoprocessuale, sono spendibili nel procedimento successivamente instaurato.